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Santi del 31 Maggio

Il mio Santo > I Santi di Maggio

*Beata Camilla Battista da Varano - Clarissa Francescana (31 Maggio)
Camerino, 9 aprile 1458 - Camerino, 31 maggio 1524
Figlia del principe Giulio Cesare da Varano nasce a Camerino il 9 aprile 1458 e all'età di 23 anni, il 14 novembre 1481, abbraccia la regola delle Clarisse di Urbino, prendendo il nome di suor Battista e potendo vestire l'abito dell'Ordine.
Poco dopo fonderà a Camerino un monastero di cui diventerà abbadessa.
Famoso fu il suo libro «I dolori mentali di Gesù nella sua Passione».
Divenne un punto di riferimento per tutta Camerino. Morì il 31 maggio 1524, i funerali si svolsero nel cortile del palazzo paterno. Attualmente è beata per la Chiesa. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Camerino nelle Marche, Beata Battista (Camilla) Varano, badessa del monastero delle Clarisse fondato da suo padre, che sperimentò grandi sofferenze e mistiche consolazioni.
Figlia del principe Giulio Cesare Da Varano, signore di Camerino, sostenitore delle arti, abile nelle armi, buon diplomatico, generoso con il popolo, vendicativo con i nemici e dedito alle avventure sentimentali.
Il principe a vent’anni si era sposato con la dodicenne Giovanna, figlia di Sigismondo Malatesta di Rimini, dalla quale ebbe successivamente tre figli, ma come già detto, non disdegnando altri legami amorosi, aveva avuto altri cinque figli illegittimi, i quali comunque furono educati a corte insieme agli altri tre.
Ed è dall’unione con la nobildonna Cecchina di Mastro Giacomo che nacque Camilla il 9 aprile 1458, primogenita di tutti i figli. Cresciuta ed educata nel palazzo paterno, essa assimilò anche lo spirito guerriero del padre, dedicando il suo tempo alle gioie giovanili come suonare, ballare, cantare e fare pazzie, così come lo racconta lei stessa nella sua autobiografia.
Aveva da bambina fatto un voto, dopo aver ascoltato una predica del francescano Domenico da Leonessa, ed era quello di versare una lacrima ogni venerdì in ricordo della Passione di Gesù. Ma questo voto mal si conciliava con la vita frivola e gioiosa che conduceva, perciò quando non le riusciva di versarla, ci rimaneva male per tutta la settimana, ma poi crescendo e leggendo libri spirituali, tale pratica le riuscì facilmente, tanto da essere punzecchiata dall’ironia degli altri.
Diciottenne pensò di ritirarsi a vita religiosa, ma in lei si accese una lotta, perché si sentiva attratta anche dalla vita gaudente e mondana, ma passate e vinte le tentazioni, decise per il chiostro. Qui sorsero però le difficoltà da parte del padre, il quale negò con caparbietà l’assenso, Camilla si ammalò per sette mesi, non accettando la volontà paterna che la osteggiava in ogni modo.
Passarono così due anni, ricevendo anche visioni celestiali, perché aveva ormai raggiunto una maturità e intensità spirituale verso Cristo; alla fine il principe acconsentì e il 14 novembre 1481, poté vestire l’abito francescano nel monastero di s. Chiara di Urbino, prendendo il nome di suor Battista. Il principe suo padre non si arrese alla lontananza e dopo aver comprato il monastero degli Olivetani, vicino Camerino, lo donò alle autorità francescane per farne un convento di clarisse, il cui nucleo doveva venire da Urbino.
Suor Battista fu una delle nove suore prescelte e il 4 gennaio 1484, sotto una grossa nevicata, fecero il loro ingresso con il concorso del popolo e di tutta la corte del principe.
Seguirono anni di grande misticismo, la Passione di Cristo continuò ad essere il suo punto di riferimento, specie sui dolori del suo Cuore umano-divino, i suoi elevati pensieri mistici, li scrisse in un libro “I dolori mentali di Gesù nella sua passione”, che divenne la guida per le meditazioni di futuri grandi santi.
Nei 1502 Cesare Borgia, chiamato ‘duca Valentino’, nell’intento di unificare l’intero territorio pontificio sotto il governo del papa Alessandro VI, suo padre, attaccava con la forza quelle Signorie locali, che non si sottomettevano volontariamente.
Il principe Da Varano mise al sicuro il figlio minore a Venezia con le donne, mentre con gli altri figli organizzava la resistenza di Camerino. Suor Battista, insieme ad un’altra consorella di nobile casato, dovette fuggire prima a Fermo e poi nel Regno di Napoli ad Atri, lì le raggiunsero le notizie che Cesare Borgia aveva fatto strangolare il padre a Pergola e il giorno dopo i suoi fratelli Annibale, Pirro e Venanzio nella rocca di Cattolica.
Passata la bufera dei Borgia al potere, suor Battista ritornò a Camerino, in cui era stata ripristinata la Signoria Da Varano con il giovane fratello Giovanni Maria e lì rimase fino alla morte come badessa, divenendo un punto di riferimento per tutti, autorità civili e religiose ed elevandosi sempre più nell’unione intima con Dio. Morì il 31 maggio 1524, i funerali si svolsero nel cortile del palazzo paterno.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Camilla Battista da Varano, pregate per noi.

*Santi Canzio, Canziano e Canzianilla - Martiri  (31 Maggio)
sec. IV
Canzio, Canziano e Canzianilla, che la la tradizione vuole fratelli, caddero sotto Diocleziano agli inizi del IV secolo e vennero sepolti ‘ad aquas Gradatas’.
Nella stessa località, corrispondente all’odierno San Canzian d’Isonzo, venne scoperta recentemente la relativa basilica paleocristiana e la stessa tomba, con notevoli resti ossei di tre individui. La venerazione dei martiri è attestata dal racconto di San Massimo di Torino (sec. V), da una celebre cassetta-reliquiario in argento conservata a Grado della fine del sec. V e dall’affermazione di Venanzio Fortunato (fine sec. VI): "Aquileiensium si forte accesseris urbem, Cantianos Domini nimium venereris amicos". In età altomedioevale esisteva in detta località un monastero in loro onore, dedicato a Santa Maria.
Il culto dei martiri era già anticamente diffuso nell’Italia settentrionale (Lombardia), in Francia e in Germania.

Martirologio Romano: Ad Aquileia in Friuli, Santi Canzio, Canziano e Canzianilla, martiri, che, arrestati dal persecutore mentre si allontanavano su un carro dalla città, furono infine condotti al supplizio. Venanzio Fortunato (m. 600 ca.), vescovo di Poitiers, ma trevigiano di origine, nel poema De vita S. Martini dice: «Aut Aquileiensem si fortasse accesseris urbem Cantianos Domini nimium venereris amicos » (IV, 658-59, in PL, LXXXVIII, col. 424).
Questi Canziani o Canzii sono i nostri tre martiri. Solo la fama che la Chiesa d'Aquileia godeva nell'antichità cristiana può spiegare la diffusione che il culto di questi tre suoi martiri ha avuto al di qua e al di là delle Alpi. I loro nomi ricorrono più volte nei martirologi : in quello Romano il 31 maggio, nel Geronimiano, oltre che al 30 (Additamenta) e al 31 magg., anche il 15, il 16 e il 17 giugno, da soli oppure assieme ad altri santi, associati dalla leggenda al loro martirio, come Proto (o Protico) e Crisogono (o Grisogono), ovvero affiancati per errore di copisti, come Giovano, Muzio, Clemente, Ciria (o Ciriaco) e altri. Eppure ben poco sappiamo di loro. La più antica passio (historia) è andata perduta; ne conosciamo l'esistenza perché vi attinse alcune notizie un'omelia che, erroneamente attribuita a Sant' Ambrogio (PL, XVII, coll. 728-29), pare sia di San Massimo di Torino (ibid., LVII, coll. 701-702). Questa omelia dice che i tre Canzii, fratelli di sangue, furono martirizzati insieme poco lontano da Aquileia, mentre se ne allontanavano in cocchio.
Forse la stessa historia servì da canovaccio alla Passio SS. Cantii, Cantiani et Cantianillae, conservataci in varie redazioni sotto forma di lettera indirizzata da Sant' Ambrogio ai vescovi d'Italia. Racconta che i tre fratelli, romani della nobile famiglia Anicia e quindi parenti
dell'imperatore Carino, quando scoppiò a Roma la persecuzione di Diocleziano, emanciparono, dopo averli fatti istruire e battezzare, i loro settantatré schiavi, distribuirono ai poveri i beni che possedevano in città e assieme a Proto, loro pedagogo, partirono per Aquileia, ove pure possedevano molti beni, allo scopo d'incontrarsi con Grisogono. Ma la persecuzione vi infuriava non meno che a Roma per opera del preside Dulcizio e del comes Sisinnio. Grisogono era stato martirizzato ad Aquas Gradatas (uno scalo sull'Isonzo, ora S. Cancian d'Isonzo, a quindici chilometri ca. da Aquileia) un mese prima dell'arrivo dei Canzii. Questi allora si diedero a visitare i cristiani in prigione e a predicare coraggiosamente Gesù Cristo, operando molti miracoli.
Citati innanzi al preside, rifiutarono di comparire, forti della loro parentela con l'imperatore Carino. La loro condanna a morte dovette essere confermata dagli imperatori Diocleziano e Massimiano. Presentendola, i tre fratelli, sempre insieme con Proto, s'erano recati ad Aquas Gradatas sulla tomba del martire Grisogono. Raggiunti da Sisinnio, non avendo voluto rendere omaggio agli dei, furono decapitati. Il prete Zeno (o Zoilo), lo stesso che aveva dato sepoltura a San Grisogono, si affrettò a seppellirli in una cassa di marmo (in locello marmoreo) presso il sepolcro di lui. Così la passio che i Bollandisti dichiarano senz'altro fittizia (Martyr. Rom., p. 217) e che, secondo il Lanzoni, risale nella sua prima redazione alla metà del sec. V. L'autore e i successivi redattori hanno rimpolpato il poco che si sapeva del martirio dei Canzii con elementi tolti dalle passiones romane dei santi Proto e Giacinto, pedagoghi di Sant' Eugenia (cf. BHL, II, p. 1015, nn. 6975-77) e di San Crisogono, pedagogo di s. Anastasia (cf. BHL, I, p. 270, n. 1795).
Il Chronicon gradense racconta che verso la metà del sec. VI un prete di nome Geminiano asportò da Aquileia, assieme a quelle di altri martiri, anche le spoglie dei Canzii e le portò a Grado, ove il patriarca Paolo le fece tumulare nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, fissandone la festa il 31 maggio, anniversario della morte (cf. G. Monticolo, Cronache veneziane antichissime, I, Venezia 1890, pp. 37, 41). Il racconto contiene un nucleo di verità. Difatti, Paolo (o Paolino) d'Aquileia, il primo a chiamarsi patriarca, in seguito all'invasione longobarda, nel 568 si rifugiò a Grado portando con sé i preziosi reliquiari dei corpi santi per sottrarli a rapine sacrileghe. È probabile che nel 579, quando fu dedicato il duomo di Grado, siano stati deposti sotto l'altare principale.
Nel 1871 vi fu dissotterrata una piccola urna marmorea, contenente due cassette d'argento, in una delle quali, di forma ellittica, l'iscrizione dice chiaramente esservi contenute reliquie dei tre Canzii, assieme a quelle di San Quirino di Pannonia e di s. Latino, forse il vescovo di Brescia; si tratta di piccole reliquie.
Questo potrebbe spiegare come altre chiese vantino o si siano vantate di possedere le salme dei Canzii o, probabilmente, solo reliquie: il duomo di Milano, San Crisogono di Seriate nella diocesi di Bergamo, Santa Maria in Organis a Verona, la cattedrale di Hildesheim nella Sassonia e, specialmente, la chiesa del monastero di Santa Maria d'Estampes nella diocesi di Sens, in Francia. Ve le avrebbe fatte deporre il re Roberto II il Santo (999-1031), che le aveva ottenute da Milano. Ogni anno venivano portate solennemente in processione il martedì di Pasqua, anniversario della loro deposizione ad Estampes e il 31 maggio, anniversario del martirio. All'intercessione dei tre martiri aquileiesi vennero attribuiti molti miracoli.
Nel 1249, le reliquie furono poste in una cassettina d'argento e nel 1620 furono riposte in un'altra più bella. Una parte passò alla chiesa metropolitana di Sens, anzi in questa diocesi i tre Canzii non avevano solo festa, ma anche Ufficio proprio.

(Autore: Ireneo Daniele - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Canzio, Canziano e Canzianilla, pregate per noi.

*Sant'Ermia di Comana - Martire (31 Maggio)
sec. III

Martirologio Romano: A Gumenek nel Ponto, nell’odierna Turchia, Sant’Ermia, soldato, Martire.
Il Martirologio Romano lo commemora al 31 maggio, come martire di Comana, nel Polito Eussino, durante l’impero di Antonino (138-161).
La sua liberazione miracolosa da diversi tormenti a lui inflitti avrebbe determinato la conversione del suo carnefice. Tutti e due in seguito sarebbero stati decapitati.
Sembra che sia stato il Molano (Jan van der Meulen) a nominarlo in Occidente per la prima volta, introducendone il nome nella sua edizione del Martirologio di Usuardo, dopo averlo preso dalle fonti bizantine.
I sinassari Ibizantini, infatti, commemorano Ermia allo stesso giorno e la notizia ivi a lui dedicata non è che un breve riassunto di una passio conservata in greco e già pubblicata da D. Papebroeck negli Acta Sanctorum.
Questo testo, tuttavia, è ben lontano dal poter essere accettato come documento autentico.
Comunque sia, la memoria del Martirologio Romano risulta dipendente dalle fonti bizantine dove Ermia appare come un vegliardo.
Vi sono però differenze anche notevoli.
Comana non è la città del Ponto Eussino, ma quella omonima di Cappadocia, il cui governatore era in quel momento un certo Sebastiano.
D’altra parte non è il carnefice di Ermia ad esser stato convertito, ma un mago al quale era stata affidata la confezione di un pasto velenoso, che Ermia fu costretto a mangiare senza che però gliene venisse alcun danno.
Se abbiamo notato queste divergenze tra le lezioni consegnate nel Martirologio Romano e le fonti bizantine, non è tanto per il maggior credito da accordarsi al testo greco, ma è piuttosto per mettere in rilievo la facilità con la quale, anche in un’epoca così tardiva, l’introduzione di un culto nuovo poteva essere accompagnata da trasformazioni non indifferenti.

(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ermia di Comana, pregate per noi.

*San Felice Amoroso da Nicosia - Religioso Cappuccino (31 Maggio)
Nicosia, 5 novembre 1715 - Nicosia, 31 maggio 1787
San Felice Da Nicosia (al secolo Giacomo Amoroso), italiano, laico dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini (1715-1787). Per oltre quarant'anni ha offerto il suo servizio di mendicante svolgendo un apostolato itinerante. Analfabeta, ha avuto la scienza della carità e dell'umiltà.
Martirologio Romano: A Nicosia in Sicilia, Beato Felice (Giacomo) Amoroso, religioso, che, dopo essere stato rifiutato per dieci anni, entrò infine nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, dove svolse i più umili servizi in semplicità e purezza di cuore.
Giacomo Amoroso nacque a Nicosia nel 1715, il padre Filippo era calzolaio e la madre Carmela Pirro badava alla numerosa famiglia. Il padre decise di far lavorare il figlio nella calzoleria più importante del paese affinché si specializzasse in questo mestiere.
Giacomo presto imparò il mestiere e nello stesso tempo si era avvicinato alla congregazione dei Cappuccinelli presso il convento di Nicosia. Era per tutto esempio in quanto la sua spiritualità la
testimoniava in tutte le cose di ogni giorno. Nel 1733 decise di chiedere di entrare come fratello laico nell'ordine dei Cappuccini, ma non fu accolto, anche a causa delle condizioni economiche precarie della sua famiglia alla quale era fondamentale il suo apporto. Una volta morti i genitori nel 1743 riprovò a chiedere di essere ammesso tra i Cappuccini direttamente al provinciale che era in visita a Nicosia, e, finalmente, dieci anni dopo la sua prima richiesta venne ammesso al noviziato nel convento di Ristretta con il nome di fra Felice.
L'anno seguente fece la professione e fu inviato nello stesso suo paese di origine dove per 43 anni esercitò il compito di questuante. Nel convento esercitò vari lavori, portinaio, ortolano, calzolaio e infermiere, fuori era il questuante non solo a Nicosia ma anche nei paesi vicini, Capizzi, Cerami, Mistretta e Gagliano.
Si definiva "u sciccareddu", l'asinello che carico portava quanto raccolto al convento. Aveva una particolare predilezione per i bambini, dalle sue tasche tirava fuori una noce, delle nocciole o delle face le regalava ai fanciulli ed in base al numero di queste cose ricordava loro le piaghe di Gesù, la santissima Trinità, i dieci comandamenti, piccoli regali che però davano l'opportunità a fra Felice di fare una breve e semplice lezione di catechismo.
Se per strada incontrava poveri con carichi particolarmente pesanti dava loro una mano per aiutarli, aiutava gli ammalati e cercava di fare qualcosa per i più bisognosi. Tutte le domeniche era solito andare a trovare i carcerati.
Il superiore nonché padre spirituale spesso lo trattava duramente, lo umiliava appioppandogli nomignoli quali poltrone, ipocrita, gabbatore della gente, santo della Mecca, fra Felice rispondeva a ciò dicendo "sia per l'amor di Dio". Ancora il superiore spesso lo obbligò ad esibirsi nel refettorio del convento con abiti carnevaleschi, distribuendo una massa di cenere impastata come fosse ricotta fresca, che miracolosamente lo diventò veramente.
Fra Felice distribuiva delle striscioline di carta sulle quali erano scritte delle invocazioni alla Beata Vergine e le utilizzava come rimedio infallibile per tutti i mali, appendendole alle porte delle abitazioni dove vi erano sofferenti ammalati o poveri, contrastava il fuoco che aveva attaccato i covoni da trebbiare, oppure appendendole nelle cisterne prive di acqua. Spesso avvenivano grazie ed eventi miracolosi che non facevano altro che accrescere la fama di fra Felice. Una volta alleggerito da tutti i servizi data l'avanzata età e la malferma salute si dedicò alla preghiera.
Verso la fine del mese di maggio 1787 mentre era nel suo orto si accasciò senza più forze e dopo alcuni giorni nel suo letto raccomandandosi a S. Francesco e alla Madonna chiese al superiore il l'obbedienza di morire.
Morì il 31 maggio del 1787. Fu dichiarato Beato da papa Leone XIII il 12 febbraio 1888.
Papa Benedetto XVI, nella sua prima cerimonia di canonizzazione, lo ha proclamato Santo il 23 ottobre 2005 in piazza San Pietro.

I poveri sono la persona di Gesù Cristo, e si devono rispettare. Riguardiamo nei poverelli e negli infermi lo stesso Dio, e soccorriamoli con tutto l'affetto del nostro cuore e secondo le proprie nostre forze. Consoliamo con dolci parole i poveri ammalati e prontamente rechiamo loro soccorso. Non cessiamo mai dal correggere i traviati con maniere prudenti e caritative. (Beato Felice da Nicosia)
(Autore: Carmelo Randello – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Felice da Nicosia, pregate per noi.

*San Feredhach Mac Cormac - Abate di Iona (31 Maggio)

† 880 (?)

San Feredhach (Feredacius) Mac Cormac è stato un abate del monastero di Iona.
Su di lui non abbiamo notizie certe.
La tradizione ci ricorda solo il suo nome e che durante il suo governo dell’abbazia, furono trasferite in Irlanda le reliquie di Santa Columba.
Si ritiene che sia morto nell’anno 880.
Nei vari martirologi è commemorato alla data del 31 maggio.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Feredhach Mac Cormac, pregate per noi.

*San Filosofo di San Pietroburgo - Martire (31 Maggio)

San Filosofo di San Pietroburgo, “Nuovo Martire” della Chiesa Ortodossa Russa, è festeggiato al 31 maggio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Filosofo di San Pietroburgo, pregate per noi.

*Beato Giacomo (Salomoni) da Venezia - Domenicano (31 Maggio)
Venezia, 1231 - Forlì, 31 maggio 1314
Morto suo padre, sua madre si fece monaca, e lui a 17 anni, dopo aver distribuito ai poveri tutti i beni della sua famiglia, entrò nel convento domenicano nella nativa Venezia.
Esercitò il suo ministero per 45 anni a Forlì, dove per la sua carità fu chiamato "Padre dei poveri". Si distinse anche per il suo amore verso i malati, e per questo è invocato contro la malattia del cancro.

Martirologio Romano: A Forlì, Beato Giacomo Salomoni, sacerdote, che, adolescente, morto il padre e entrata la madre tra le monache cistercensi, distribuì i suoi beni ai poveri e, accolto nell’Ordine dei Predicatori, vi rifulse per quarantacinque anni come amico dei poveri e uomo di pace, dotato di insigni carismi.
Giacomo Salomoni, di nobilissima famiglia veneziana, rimase assai presto orfano di padre. La madre allora lo affidò alla virtuosissima nonna, decidendo di prendere il velo monacale in un
monastero della città, detto delle Celesti. Il bimbo spesso visitava sua madre, e fatto giovinetto, sentì anche lui l’attrattiva per le cose nobili e sante. Così, distribuito ai poveri un cospicuo patrimonio, si fece, a diciassette anni, Frate Predicatore.
Ricevute con vivissima gioia le bianche lane, sua ambizione fu di seguire le orme del grande Patriarca Domenico.
Ebbe il culto della Regola, che per sessantasei anni osservò con inviolabile fedeltà. Anima contemplativa e assetata di silenzio, ottenne, nel 1269, di passare al Convento di Forlì, per vivervi sconosciuto e lontano dalla sua Patria.
Non ebbe il dono dell’eloquenza, ma sua cattedra fu il confessionale, dove svolse un fruttuosissimo apostolato per il quale aveva ricevuto da Dio doni veramente straordinari. Leggeva nelle anime, e per ognuna di loro le sue parole erano balsamo e vita.
Spesso, quando era in confessionale, si vedeva una colomba misteriosa posarsi sulla sua spalla. La sua preghiera era taumaturga e otteneva miracoli d’ogni genere. Nella tarda età sopportò una crudele piaga al petto, senza concedersi, né riposo, né dispense. Fu Priore in diversi Conventi, ma mori in quello di Forlì nel giorno e nell’ora da lui predetti, il 31 maggio 1314, portando in cielo intatta la stola battesimale.
I suoi funerali furono un trionfo e Forlì lo proclamò suo Patrono. Il culto fu approvato per Forlì nel 1526 e per Venezia nel 1617. Papa Gregorio XV il 22 settembre 1621 ha concesso a tutto l’Ordine la Messa e l’ufficio propri.
La splendida chiesa dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, testimone della sua donazione giovanile al Signore, dal 1939 ne conserva gelosamente il corpo.

(Autore: Franco Mariani - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo da Venezia, pregate per noi.

*Beato Giacomo Zhou Wen-mo - Sacerdote e Martire (31 Maggio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Coreani" (Paolo Yun Ji-chung e 123 compagni

Suzhou, Cina, 1752 – Saenamteo, Seul, Corea del Sud, 31 maggio 1801
Giacomo Zhou Wen-mo, di nazionalità cinese, fu il primo sacerdote a entrare in Corea, paese dove il cattolicesimo aveva attecchito unicamente grazie all’apporto di laici. Quando il suo ingresso divenne noto alle autorità, numerosi credenti vennero arrestati e torturati per capire dove lui si nascondesse. Per non prolungare ulteriormente le sofferenze del popolo che tanto amava, padre Giacomo si consegnò spontaneamente alle autorità. Subì il martirio per decapitazione il 31 maggio 1801. Inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
Giacomo Zhou Wen-mo nacque nel 1752 a Suzhou, nella provincia dello Jiangnan, in Cina, Rimasto
orfano da bambino, venne allevato da sua nonna. Convertitosi al cattolicesimo, entrò nel seminario diocesano di Pechino e fu tra i primi a venire ordinato sacerdote.
All’epoca il vescovo di Pechino, Alexandre de Gouvea, stava meditando sulla necessità d’inviare un sacerdote missionario in Corea, luogo dove la Chiesa era sorta unicamente tramite alcuni letterati laici, entrati in contatto coi libri scritti dai missionari occidentali in cinese. Riconosciute in padre Giacomo le doti necessarie per quello scopo, gli diede l’incarico.
Così, partito da Pechino nel febbraio 1794, s’incontrò con due inviati segreti coreani, Saba Ji Hwang e Giovanni Pak, in un luogo precedentemente fissato. Tuttavia, non poterono varcare il fiume Ammok, perché non era ancora congelato. Nel corso dell’attesa forzata, padre Giacomo si occupò dei cattolici residenti nel distretto di Liaodong.
Finalmente, si incontrò di nuovo con gli inviati e, il 24 dicembre 1794 (3 novembre secondo il calendario lunare), entrò in Corea indossando abiti locali. Si stabilì nell’abitazione preparata per lui da Mattia Choe In-gil e prese a studiare il coreano. Celebrò la prima Messa con i cattolici coreani la domenica di Pasqua 1795.
Tuttavia, nonostante le misure di sicurezza, le autorità governative vennero a sapere del suo ingresso tramite una spia. Per fortuna, il sacerdote fece in tempo a rifugiarsi presso l’abitazione della catechista Colomba Kang Wan-suk, mentre Mattia, per agevolargli la fuga, si travestì per assomigliargli, tenuto conto che conosceva la lingua cinese.
La polizia, purtroppo, scoprì la sua vera identità e ripartì a caccia di padre Giacomo, senza trovarlo. Quando vennero resi noti altri dettagli sul suo ingresso in Corea, si procedette all’arresto dei suoi accompagnatori Paolo Yun Yu-il e Saba Ji e del suo ospite Mattia Choe: vennero martirizzati il 28 giugno 1795.
Padre Giacomo compiva i suoi uffici in totale segretezza, ma sempre con grande fervore. Girava per i villaggi per amministrare i Sacramenti, compilò un catechismo e organizzò il Myeongdohoe, un centro per laici dove studiare la dottrina e le Scritture. Nel giro di sei anni, il numero dei cattolici coreani crebbe da quattromila a diecimila.
Tutto cambiò con lo scoppio della persecuzione Shinyu, nel 1801. I credenti che venivano arrestati subivano lunghe torture, allo scopo di rivelare il nascondiglio del sacerdote. Sulle prime, padre Giacomo credette opportuno tornare in patria, ma cambiò presto idea: «Devo condividere il destino del mio gregge e mitigare la loro persecuzione e il loro martirio».
L’11 marzo, perciò, si presentò alle autorità. Il suo interrogatorio cominciò immediatamente. Nonostante le crudeli punizioni, tenne un comportamento pacifico e rispose con saggezza e prudenza: «L’unico motivo per cui sono giunto in Corea, accompagnato da Saba Ji, nonostante i pericoli che avrei potuto affrontare alla frontiera, era perché amo il popolo coreano. L’insegnamento di Gesù non è malvagio. Fare del male alla gente o a una nazione è proibito dai dieci comandamenti, pertanto non posso riferire riguardo agli affari della Chiesa».
I persecutori non poterono fargli confessare alcunché, quindi decisero di condannarlo a morte. L’esecuzione si svolse il 31 maggio 1801 a Saenamnteo, presso il fiume Han, per decapitazione. Padre Giacomo aveva quarantanove anni. Si racconta che, nel momento in cui venne decapitato, il cielo si rannuvolò e scoppiò una grandinata. Quando le nuvole disparvero, apparve uno splendido arcobaleno.
Padre Giacomo Zhou Wen-mo, inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung (del quale fanno parte anche Mattia Choe In-gil, suo fratello Ignazio Choe In-cheol, Paolo Yun Yu-il e Saba Ji Hwang), è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo Zhou Wen-mo, pregate per noi.

*Beato Juan Moya Collado - Giovane laico e Martire (31 Maggio)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería Beatificati nel 2017"
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Almería, Spagna, 12 ottobre 1918 – Turón, Spagna, 31 maggio 1938
Juan Moya Collado nacque ad Almería, nell’omonima provincia e diocesi, il 12 ottobre 1918. Univa alla sua profonda religiosità e alla carità verso i più poveri una grande passione per lo sport e la natura.
Morì in odio alla fede cattolica il 31 maggio 1938, a Turón, in provincia di Granada. Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Yuan Moya Collado, pregate per noi.

*Beato Mariano da Roccacasale - Francescano (31 Maggio)

Martirologio Romano: Nel villaggio di Bellegra vicino a Roma, Beato Mariano (Domenico) Di Nicolantonio da Roccacasale, religioso dell’Ordine dei Frati Minori, che, svolgendo la mansione di portinaio, aprì la porta del convento ai poveri e ai pellegrini, che assistette sempre con la massima carità.
Un Beato proveniente dai contadini, infatti Mariano trascorse l’infanzia e parte della giovinezza dedito ai lavori campestri; egli nacque a Roccacasale (L'Aquila), il 13 gennaio 1778 da poveri ma pii genitori.
Arrivato ai 24 anni decise di entrare nell’Ordine Francescano e nel maggio 1802 vestì l’abito dei Frati Minori nel convento di S. Nicola in Arischia, come fratello laico; dopo alcuni anni avendo fatto la sua professione , passò al ritiro di S. Francesco in Civitella ora Bellagra, nella provincia romana.
In questo convento trascorse oltre 50 anni di cui diciassette vivendo con il venerabile Franceschino da Ghisoni, emulandolo nelle più eroiche virtù.
Frate Mariano fu addetto a vari compiti specie quello di portinaio che richiedeva molta prudenza e carità, essendo molto frequentato. Ebbe grande devozione verso la Madonna che chiamava “la mamma mia”, verso l’Eucaristia e la Passione di Gesù; per desiderio di povertà non volle mai una tonaca nuova, né sandali, né mantello.
Pur non essendo un erudito, aveva letto solo uno o due testi religiosi, possedeva una straordinaria sapienza della spiritualità, tanto che anche dei sacerdoti si rivolgevano a lui per consigli spirituali; osservante fedele della Regola, la considerava la strada per la perfezione; come pure fu umile al livello più sublime.
Il 23 maggio 1866 si ammalò gravemente e giacché aveva presagito la sua fine, si preparò intimamente, chiedendo gli ultimi Sacramenti e ripetendo continuamente come San Francesco: “Mio Dio e mio tutto!”. Rese la sua bella anima a Dio il 31 maggio 1866 ad 88 anni.
Nel 1895 si conclusero i processi ordinari nelle zone di Subiaco, Palestrina, Sulmona e Anagni e la causa per la beatificazione fu inoltrata presso la Sacra Congregazione dei Riti. Papa Giovanni Paolo II l’ha beatificato il 3 ottobre 1999. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Cosa c’è di più facile che essere per 50 anni il portinaio di un convento? Dipende da come lo si fa e perché lo si fa. Un certo Fra Mariano, ad esempio, lo ha fatto in modo talmente esemplare da trasformare quella portineria nell’anticamera del suo paradiso, come ha confermato
autorevolmente la Chiesa al termine di un processo canonico durato più di 100 anni.
Domenico Di Nicolantonio nasce a Roccacasale (in provincia di Roma) il 14 gennaio 1778 e fino ai 23 anni è un semplice pastore sul monte Morrone: la sua famiglia è molto povera e per sbarcare il lunario deve industriarsi come può.
L’ambiente bucolico in cui vive, le lunghe interminabili ore di solitudine che lo mettono direttamente a contatto con Dio, lo portano a maturare il desiderio di entrare in convento tra i frati Minori.
Per 12 anni lo troviamo nel convento di Arischia, dove alterna il lavoro alla preghiera. Gli affidano l’orto e la falegnameria, gli chiedono di fare il cuoco e di andare alla questua: niente lo spaventa, niente lo delude, soltanto la vita comunitaria, che va un po’ a rilento in quegli anni di ripresa dopo la soppressione napoleonica degli ordini religiosi, quando la vita nei conventi deve ricominciare daccapo.
Gli sembra di toccare il cielo con un dito quando viene a sapere che nel Ritiro di Bellegra si respira un clima spirituale più adatto alle sue esigenze. Vi giunge in pellegrinaggio nel 1815, per una specie di ritiro spirituale: vi resterà per tutta la vita.
Prima gli affidano l’incarico di cuoco della comunità, poi per le sue precarie condizioni di salute lo mandano a fare il portinaio.
Nel ricevere in custodia la chiave del convento la bacia con devozione: in questo gesto c’è il segreto di tutta la sua vita.
Non si tratta, come può sembrare, di aprire semplicemente la porta a chiunque bussa alla porta del convento, ma di accogliere soprattutto i tanti poveri che all’ora dei pasti si presentano per essere sfamati e hanno bisogno, insieme ad una scodella di minestra, di tanta carità.
Si “specializza” così nell’ascolto e nella condivisione delle pene che quei poveracci si portano dietro e si trasforma in un dispensatore di pace per chi è agitato, demoralizzato, tormentato da malanni interiori. Che poi Fra Mariano presenta al Signore, nelle lunghe ore trascorse in adorazione davanti all’Eucaristia.
Qui lo trovano la sera del 23 maggio 1866, disteso sui gradini dell’altare e subito capiscono che si tratta di cosa grave.
Muore il 31 maggio, festa del Corpus Domini, mentre i confratelli si preparano alla processione eucaristica. Un giorno, alla porta del convento, aveva bussato un giovane, alla ricerca di lumi e Fra Mariano lo aveva incoraggiato a diventare anche lui Frate Minore.
E questi, con il saio indosso, per 40 anni sarà frate questuante. Sorpresa delle sorprese, Papa Woytila, il 3 ottobre 1999, li beatifica entrambi, Fra Mariano da Roccacasale e Fra Diego Oddi, due “facce” della stessa “medaglia” francescana: il primo, che ha indurito le ginocchia nello “stare”, il secondo che ha consumato i piedi nell’andare. La festa del Beato Mariano è stata fissata al 30 maggio.

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo Zhou Wen-mo, pregate per noi.

*Beato Nicolas Barrè  - Religioso, Fondatore (31 Maggio)
Amiens (Francia), 21 ottobre 1621 – Parigi, 31 maggio 1686
Il Beato Nicolas Barrè nacque il 21 ottobre 1621 ad Amiens in Francia. Dopo gli studi nel Liceo della diocesi di Amiens retto dai Gesuiti, decise di entrare fra i religiosi Minimi, l'Ordine fondato in Italia da San Francesco da Paola (1416-1507).
Nel 1640 fu accolto nel noviziato di Parigi, dove fu ordinato sacerdote nel 1645. Svolse il suo apostolato fra Parigi, Amiens e Rouen, apprezzato professore di teologia ed esperto bibliotecario della celebre biblioteca, che i Minimi avevano nel loro convento di Place Royale a Parigi.
Dopo aver avuto modo di conoscere la situazione delle famiglie operaie con la collaborazione di due giovani donne Francesca Duval e Margherita Lestocq, organizzò una missione a Sotteville, alla periferia di Rouen, radunando molte ragazze per istruirle e fare della catechesi.
Sorsero così le «Maestre di Carità» che insegnavano nelle «Scuole di Carità». Le Maestre, formanti due grosse comunità, facenti capo a Rouen e a Parigi, col tempo divennero sempre più autonome e dopo la morte del fondatore, il 31 maggio 1686, diedero vita a due Congregazioni. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Parigi in Francia, Beato Nicola Barré, sacerdote, che, docente di teologia e celebre educatore di anime nello spirito del Vangelo, istituì ovunque in Francia le Scuole Cristiane e della Carità e le Suore Maestre di Gesù Bambino per impartire istruzione gratuita ai figli del popolo.
“Egli ha testimoniato eroicamente la spiritualità penitenziale del suo Ordine, vivendone armonicamente tutte le componenti: preghiera, ascesi, opere di carità”; così si esprimeva in
occasione della beatificazione di padre Nicolas Barré, il Generale dei Minimi, padre Giuseppe Fiorini Morosini.
Primo figlio di una coppia di commercianti, Nicolas Barré nacque il 21 ottobre 1621 ad Amiens in Francia; la famiglia s’ingrandì poi con la nascita di altre quattro sorelle.
Il suo tempo, il XVII secolo, fu pervaso in Francia da un fervore di straordinario rinnovamento spirituale; padre Pierre de Berulle introdusse il Carmelo nel 1611; nel 1622 morì San Francesco di Sales ma l’Ordine della Visitazione da lui avviato, si estese rapidamente con molti monasteri; San Vincenzo de’ Paoli fondò nel 1625 i Preti della Missione e nel 1633 le Figlie della Carità; San Giovanni Eudes darà vita alla Congregazione di Gesù e Maria.
I Seminari per i sacerdoti si moltiplicavano e missionari cattolici andavano ad evangelizzare il Canada, l’America del Nord e l’Asia, grazie alla nuova Società delle Missioni Estere di Parigi.
Dopo gli studi nel Liceo della Diocesi di Amiens retto dai Gesuiti, decise di entrare fra i religiosi Minimi, l’Ordine fondato in Italia da San Francesco da Paola (1416-1507), che nel 1635 era molto diffuso in Francia con ben 156 conventi.
Nicolas era attratto dalla penitenza evangelica, anzi di una “maggiore penitenza”, sull’esempio del grande eremita pentente calabrese e dalla spiritualità francescana dell’Ordine.
Nel 1640 fu accolto nel noviziato di Parigi, dove fu ordinato sacerdote nel 1645. Svolse il suo apostolato fra Parigi, Amiens e Rouen, apprezzato professore di teologia ed esperto bibliotecario della celebre biblioteca, che i Minimi avevano nel loro convento di Place Royale a Parigi; esperto direttore di anime, era ricercatissimo per consigli e guida spirituale.
A 38 anni nel 1659 era nel convento di Rouen, dove oltre ad essere impegnato nella predicazione e confessioni, partecipò anche alle Missioni parrocchiali, avendo così l’opportunità di conoscere le condizioni di vita delle famiglie povere e di quelle in cui qualcuno dei membri, lavorava nelle locali fabbriche di tessuti o maioliche.
Così poté constatare che i figli delle famiglie povere, in quell’epoca non frequentavano la scuola, in particolare le ragazze; allora padre Nicolas Barré decise di fare qualcosa e giacché per i ragazzi già esisteva a Rouen qualche iniziativa, cominciò con le fanciulle.
Con la collaborazione di due giovani donne Francesca Duval e Margherita Lestocq, organizzò una missione a Sotteville, alla periferia di Rouen, radunando in un anno molte ragazze per istruirle e catechizzarle, con il contatto con le famiglie che ne derivò, anche le madri furono invitate a partecipare ad un percorso di formazione cristiana.
Con l’aiuto di persone agiate furono aperte nella città diverse scuole e alcune nubili si proposero per fare insegnamento. Sorsero così le “Maestre di Carità” che insegnavano nelle “Scuole di Carità”, con delle “Massime di condotta per le maestre” dettate da padre Nicolas Barré, il quale volle che fossero libere da vincoli religiosi tipici delle suore e che vivessero in povertà, per stare più unite e comprensive alle fanciulle povere del popolo.
Nonostante le difficoltà, sorte proprio nel vivere in povertà, le ‘Scuole di Carità’ si moltiplicarono a Rouen e la loro fama si estese fuori dai confini della diocesi; così pure le “Maestre di Carità” vennero richieste in tante città della Francia compreso Parigi.
Da padre Barré vennero per consiglio anche il futuro beato Nicolas Roland (1642-1678) di Reims, il futuro santo Giovanni Battista de La Salle (1651-1719) e Carlo Demia di Lione, tutti poi fondatori di Ordini religiosi, di Scuole e soprattutto di sistemi scolastici, aperti in altre regioni della Francia, ispirati all’esperienza delle “Scuole di Carità” di padre Barré.
Padre Nicolas Barré si venne così a trovare, primo di una triade di grandi educatori, al centro di tutto il movimento suscitato nella Francia del XVII secolo, per l’educazione cristiana dei fanciulli. Nel 1675 egli venne nominato dai superiori professore di teologia e confessore a Parigi, dove ben presto le sue Scuole ebbero uno sviluppo notevole, fungendo da trampolino di lancio per il diffondersi dell’esperienza scolastica e per l’affluire delle ‘Maestre di Carità’, che inizialmente erano Terziarie Minime; laiche impegnate nell’apostolato, anche se con una forma di vita comune, antesignane dei moderni Istituti Secolari.
Le Maestre, formanti due grosse comunità, facenti capo a Rouen e a Parigi, col tempo divennero sempre più autonome e dopo la morte del fondatore, avvenuta il 31 maggio 1686 nel convento dei Minimi di Place Royale di Parigi, pian piano finirono per accettare i voti religiosi.
Si formeranno così due Congregazioni: Le ‘Suore del Bambino Gesù o di S. Mauro” a Parigi e le “Suore del Bambino Gesù - Provvidenza” di Rouen, oggi federate, nella quale potranno essere raggiunte dalle “Suore della Provvidenza” di Lisieux.
Padre Nicolas Barré è stato proclamato Beato il 7 marzo 1999 da Papa Giovanni Paolo II nella Basilica di S. Pietro in Vaticano; la sua celebrazione liturgica è il 31 maggio.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Nicolas Barrè, pregate per noi.

*San Noè Mawaggali - Martire (31 Maggio)
Scheda del gruppo a cui appartiene: “Santi Martiri Ugandesi”
† Mityana, Uganda, 31 maggio 1886
Martirologio Romano:
In località Mityana in Uganda, San Noè Mawaggali, martire, che fu domestico del re: rifiutando impavidamente di cercare la fuga durante la persecuzione, offrì spontaneamente il petto alle lance dei soldati e, dopo esserne stato trafitto, fu appeso ad un albero, finché rese lo spirito per Cristo.
Fece un certo scalpore, nel 1920, la beatificazione da parte di Papa Benedetto XV di ventidue martiri di origine ugandese, forse perché allora, sicuramente più di ora, la gloria degli altari era legata a determinati canoni di razza, lingua e cultura. In effetti, si trattava dei primi sub-sahariani (dell’”Africa nera”, tanto per intenderci) ad essere riconosciuti martiri e, in quanto tali, venerati dalla Chiesa cattolica.
La loro vicenda terrena si svolge sotto il regno di Mwanga, un giovane re che, pur avendo frequentato la scuola dei missionari (i cosiddetti “Padri Bianchi” del Cardinal Lavigerie) non è riuscito ad imparare né a leggere né a scrivere perché “testardo, indocile e incapace di concentrazione”. Certi suoi atteggiamenti fanno dubitare che sia nel pieno possesso delle sue facoltà mentali ed inoltre, da mercanti bianchi venuti dal nord, ha imparato quanto di peggio questi abitualmente facevano: fumare hascisc, bere alcool in gran quantità e abbandonarsi a pratiche omosessuali. Per queste ultime, si costruisce un fornitissimo harem costituito da paggi, servi e figli dei nobili della sua corte.
Sostenuto all’inizio del suo regno dai cristiani (cattolici e anglicani) che fanno insieme a lui fronte comune contro la tirannia del re musulmano Kalema, ben presto re Mwanga vede nel cristianesimo il maggior pericolo per le tradizioni tribali ed il maggior ostacolo per le sue dissolutezze. A sobillarlo contro i cristiani sono soprattutto gli stregoni e i feticisti, che vedono compromesso il loro ruolo ed il loro potere e così, nel 1885, ha inizio un’accesa persecuzione, la cui prima illustre vittima è il vescovo anglicano Hannington, ma che annovera almeno altri 200 giovani uccisi per la fede.
Il 15 novembre 1885 Mwanga fa decapitare il maestro dei paggi e prefetto della sala reale. La sua colpa maggiore? Essere cattolico e per di più catechista, aver rimproverato al re l’uccisione del vescovo anglicano e aver difeso a più riprese i giovani paggi dalle “avances” sessuali del re. Giuseppe Mkasa Balikuddembè apparteneva al clan Kayozi ed ha appena 25 anni.
Viene sostituito nel prestigioso incarico da Carlo Lwanga, del clan Ngabi, sul quale si concentrano subito le attenzioni morbose del re. Anche Lwanga, però, ha il “difetto” di essere cattolico; per di più, in quel periodo burrascoso in cui i missionari sono messi al bando, assume una funzione di “leader” e sostiene la fede dei neoconvertiti.
Il 25 maggio 1886 viene condannato a morte insieme ad un gruppo di cristiani e quattro catecumeni, che nella notte riesce a battezzare segretamente; il più giovane, Kizito, del clan Mmamba, ha appena 14 anni.
Il 26 maggio vemgono uccisi Andrea Kaggwa, capo dei suonatori del re e suo familiare, che si era
dimostrato particolarmente generoso e coraggioso durante un’epidemia, e Dionigi Ssebuggwawo.
Si dispone il trasferimento degli altri da Munyonyo, dove c’era il palazzo reale in cui erano stati condannati, a Namugongo, luogo delle esecuzioni capitali: una “via crucis” di 27 miglia, percorsa in otto giorni, tra le pressioni dei parenti che li spingono ad abiurare la fede e le violenze dei soldati.
Qualcuno viene ucciso lungo la strada: il 26 maggio viene trafitto da un colpo di lancia Ponziano Ngondwe, del clan Nnyonyi Nnyange, paggio reale, che aveva ricevuto il battesimo mentre già infuriava la persecuzione e per questo era stato immediatamente arrestato; il paggio reale Atanasio Bazzekuketta, del clan Nkima, viene martirizzato il 27 maggio.
Alcune ore dopo cade trafitto dalle lance dei soldati il servo del re Gonzaga Gonga del clan Mpologoma, seguito poco dopo da Mattia Mulumba del clan Lugane, elevato al rango di “giudice”, cinquantenne, da appena tre anni convertito al cattolicesimo.
Il 31 maggio viene inchiodato ad un albero con le lance dei soldati e quindi impiccato Noè Mawaggali, un altro servo del re, del clan Ngabi.
Il 3 giugno, sulla collina di Namugongo, vengono arsi vivi 31 cristiani: oltre ad alcuni anglicani, il gruppo di tredici cattolici che fa capo a Carlo Lwanga, il quale aveva promesso al giovanissimo Kizito: “Io ti prenderò per mano, se dobbiamo morire per Gesù moriremo insieme, mano nella mano”. Il gruppo di questi martiri è costituito inoltre da: Luca Baanabakintu, Gyaviira Musoke e Mbaga Tuzinde, tutti del clan Mmamba; Giacomo Buuzabalyawo, figlio del tessitore reale e appartenente al clan Ngeye; Ambrogio Kibuuka, del clan Lugane e Anatolio Kiriggwajjo, guardiano delle mandrie del re; dal cameriere del re, Mukasa Kiriwawanvu e dal guardiano delle mandrie del re, Adolofo Mukasa Ludico, del clan Ba’Toro; dal sarto reale Mugagga Lubowa, del clan Ngo, da Achilleo Kiwanuka (clan Lugave) e da Bruno Sserunkuuma (clan Ndiga).
Chi assiste all’esecuzione è impressionato dal sentirli pregare fino alla fine, senza un gemito. E’ un martirio che non spegne la fede in Uganda, anzi diventa seme di tantissime conversioni, come profeticamente aveva intuito Bruno Sserunkuuma poco prima di subire il martirio “Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai; quando noi non ci saremo più altri verranno dopo di noi”.
La serie dei martiri cattolici elevati alla gloria degli altari si chiude il 27 gennaio 1887 con l’uccisione del servitore del re, Giovanni Maria Musei, che spontaneamente confessò la sua fede davanti al primo ministro di re Mwanga e per questo motivo venne immediatamente decapitato.
Carlo Lwanga con i suoi 21 giovani compagni è stato canonizzato da Paolo VI nel 1964 e sul luogo del suo martirio oggi è stato edificato un magnifico santuario; a poca distanza, un altro santuario protestante ricorda i cristiani dell’altra confessione, martirizzati insieme a Carlo Lwanga. Da ricordare che insieme ai cristiani furono martirizzati anche alcuni musulmani: gli uni e gli altri avevano riconosciuto e testimoniato con il sangue che “Katonda” (cioè il Dio supremo dei loro antenati) era lo stesso Dio al quale si riferiscono sia la Bibbia che il Corano.

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Noè Mawaggali, pregate per noi.

*Santa Petronilla - Martire (31 Maggio)

Sec. I
Anche per Santa Petronilla, come per molti Santi dei primi secoli, nonostante abbia avuto un culto così diffuso, abbiamo scarse notizie.
Quello che è certo che era sepolta nel cimitero di Domitilla nei pressi o nell'ambito della Basilica sotterranea delle catacombe: le fonti archeologiche indicano la più antica testimonianza in un affresco del IV secolo tuttora esistente in un cubicolo dietro l'abside della basilica sotterranea, costruita da Papa Siricio tra il 390 e il 395, che raffigura Veneranda introdotta in paradiso, tenuta per mano da una fanciulla al cui fianco è scritto «Petronella Mart(yr)».
Secondo la «Passio» dei Santi Nereo ed Achilleo composta nel VI secolo Petronilla sarebbe stata figlia di San Pietro e sarebbe morta naturalmente, quindi non martire come invece è segnalato nell'affresco.
Il corpo di Petronilla sarebbe rimasto nel cimitero di Domitilla a Roma, fino al 757 quando Papa Paolo I lo trasportò insieme al sarcofago che lo conteneva, nella basilica vaticana. (Avvenire)

Etimologia: Petronilla = di luogo petroso, dal latino
Emblema: Chiavi, Palma
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Domitilla sulla via Ardeatina, Santa Petronilla, vergine e martire.
Come per tanti Santi della prima era cristiana, anche in questo caso vi sono notizie discordanti sulla ‘Vita’.
Anche per Santa Petronilla nonostante che abbia avuto un culto così diffuso, abbiamo notizie dubbiose sulla sua esistenza.
Quello che è certo che era sepolta nel cimitero di Domitilla nei pressi o nell’ambito della Basilica sotterranea delle catacombe, le fonti archeologiche indicano la più antica testimonianza in un affresco del IV secolo tuttora esistente in un cubicolo dietro l’abside della basilica sotterranea, costruita da Papa Siricio tra il 390 e il 395, che raffigura Veneranda introdotta in un paradiso fiorito di rose, tenuta per mano da una fanciulla col capo coperto e al cui fianco è scritto “Petronella Mart(yr)”.
D’altra parte abbiamo le notizie tratte dalla ‘Passio’ dei Santi Nereo ed Achilleo composta nel V-VI sec. ma di poco valore storico, che afferma che Petronilla sarebbe figlia di San Pietro e
sarebbe morta naturalmente dopo aver ricevuto la Comunione dalle mani del presbitero Nicomede, quindi non martire come invece è segnalato nell’affresco, comunque nel narrare la vita dei Santi Nereo ed Achilleo l’agiografo del V sec. dice che dopo morti furono sepolti nel cimitero di Domitilla presso il sepolcro di Petronilla, questo concorda con le fonti archeologiche.
L’attribuzione di figlia di San Pietro che comunque nei secoli è rimasta tale, deve essere scaturita dalla somiglianza dei nomi Pietro e Petronilla.
Il suo corpo sarebbe rimasto nel cimitero di Domitilla sulla via Ardeatina a Roma, fino al 757 quando Papa Paolo I adempiendo una promessa del suo predecessore Stefano II lo trasportò insieme al sarcofago che lo conteneva, nella basilica vaticana.
Carlo Magno nell’anno 800 visitò e venerò la cappella a lei dedicata con grande partecipazione di soldati e popolo.
Grande venerazione e devozione le ha da sempre tributato la Francia che l’ha eletta sua principale patrona e protettrice perché come Petronilla è considerata figlia di San Pietro, così la Francia è la figlia primogenita della Chiesa romana e quindi di Pietro.
É stata raffigurata ed onorata da artisti insigni in tutti i secoli; nella Basilica Vaticana un mosaico è al disopra dell’altare di una cappella che le competeva quale patrona di Francia nella più grande chiesa della cristianità.
Siena ebbe particolare devozione per lei, la quale è raffigurata in una predella di Sano di Pietro, intenta a servire a tavola il padre e in un altro quadro San Pietro è intento a curarla dalla paralisi.
Il nome Petronilla deriva da Petronio che a sua volta deriva dal latino della gens Petronia che significa “proveniente da una località pietrosa”, il diminutivo è Nilla. – Festa il 31 maggio.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Petronilla, pregate per noi.

*Beati Robert Thorpe e Tommaso Watkinson - Martiri (31 Maggio)
m. 1591
Martirologio Romano:
A York in Inghilterra, Beati martiri Roberto Thorpe, sacerdote, e Tommaso Watkinson, che, condannati a morte sotto la regina Elisabetta I, il primo perché sacerdote, il secondo perché, padre di famiglia già avanti negli anni, aveva spesso fornito aiuto ai sacerdoti, ricevettero insieme sul patibolo la corona del martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Robert Thorpe e Tommaso Watkinson, pregate per noi.

*San Silvio di Tolosa - Vescovo (31 Maggio)

Tolosa † 400 ca.
Etimologia:
Silvio = abitatore delle selve, uomo dei boschi, selvaggio, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Tolosa nella Gallia narbonense, ora in Francia, San Silvio, vescovo, che per primo diede decoro al sepolcro di San Saturnino con la costruzione di una basilica.
É il IV vescovo della lista episcopale di Tolosa, antica città della Gallia, capitale dell’impero dei Visigoti; le poche notizie che si conoscono di lui, provengono dalla passio di S. Saturnino che fu primo vescovo della città di Tolosa.
Silvio, fu senza dubbio, l’artefice della costruzione, nella seconda metà del IV secolo, della basilica che doveva custodire le reliquie del fondatore della Chiesa di Tolosa, cioè San Saturnino.
Purtroppo egli morì ( †400 ca.) senza averla potuta completare, questo compito fu poi del suo successore Sant’ Essuperio.
La sua festa si celebra il 31 maggio.
Il nome Silvio – Silvia è di ampia diffusione in Italia, anche con altre varianti, continua il nome latino di ‘Silvius’ (amante dei boschi), attestato dall’ultima età repubblicana. Il nome si è diffuso specie per il culto di San Silvia madre di San Gregorio Magno, celebrata il 3 novembre e per San Silvio martire in Nicomedia, celebrato il 15 marzo.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Silvio di Tolosa, pregate per noi.

*San Vitale di Assisi - Monaco Eremita (31 Maggio)

Bastia Umbra, 1295 - Assisi, 31 maggio 1370
San Vitale, monaco ed eremita, nacque a Bastia Umbra nel 1295, dopo aver trascorso la giovinezza compiendo orrendi peccati, pentitosi, cercò di espiare le colpe commesse recandosi in pellegrinaggio nei più importanti santuari italiani ed europei.
Ritornato in Umbria, vestì l'abito benedettino e condusse un'esperienza di vita eremitica.
Trascorse il resto della sua esistenza nell'eremo di Santa Maria di Viole, presso Assisi, nella più assoluta povertà, coprendosi di stracci, a piedi nudi e lasciando incolta la chioma; unico suo bene era un canestro usato per andare a prendere l'acqua in una vicina fonte.
Morì il 31 maggio 1370.
La fama della sua santità si sparse presto dappertutto e a causa dei numerosi prodigi compiuti a favore di quanti erano affetti da patologie ai genitali e alla vescica, divenne il protettore di questi ammalati.

(Autore: Elisabetta Nardi – Fonte: Enciclopedia dei Sati)
Giaculatoria - San Vitale di Assisi, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (31 Maggio)

*xxx
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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